Il testo di riferimento per una comprensione, supportata dai ritrovamenti ceramici, del periodo medievale è “Antiche maioliche di scavo dalla Rocca Farnese in Valentano e altre sparse dal Ducato di Castro, sec. XIII-XVII” / Mostra a Valentano dal 26 settembre al 25 ottobre 1981, Viterbo, Agnesotti, 1981.
I pezzi ricostruiti e che costituiscono la sez. A di questo catalogo, provengono per la quasi totalità da fornaci dell’Alto Lazio e noi, con questa indicazione geografica, intendiamo riferirci a quelle botteghe di produzione che gravitavano su Orvieto, Viterbo, Acquapendente, Tuscania e zone adiacenti; altri due pezzi appaiono di produzione toscana (forse opera di maestri di quella regione trasferitisi con la propria bottega nell’Alto Lazio?); un altro forse di Deruta e altri due di provenienza ispanica.
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È maiolica ben decorata, ricca, importata: può provenire solo dallo scarico della Rocca abitata allora da Ranuccio e Puccio Farnese posti a Governatori di Valentano nel 1368 da papa Urbano V in premio dell’aiuto ricevuto quando, assaltato da vari ghibellini istigati dal prefetto Giovanni Di Vico, riuscì dapprima a riparare nella Rocca di Viterbo e, poi, a portarsi indenne a Montefiascone.
Valentano, in quei tempi, era un piccolo borgo medievale con una storia forse non troppo antica, almeno relativamente al sito su cui oggi si espande (si parla anche di un origine etrusca della città di Verentum, ma, queste, sono ipotesi non confermate). Certo è che agli inizi del sec. XI il paese era già strutturato in municipio autonomo con la sua imponente torre divenuta, nei successivi anni, sempre più alta e solida per motivi di difesa.
A questa costruzione originaria s’erano poi andate ad affiancare altre costruzioni circondate da ampi muraglioni e torri che, a poco a poco, lo cinsero d’intorno in un ovale – posto a ridosso di ripe profonde e disagevoli – che lo rese quasi imprendibile, con le sole due porte di accesso: una a levante verso la loc. S. Martino e l’altra a ponente verso la strada per Roma (tanto che le cronache antiche la chiamano Porta Romana).
Nei sec. XII e XIII il paese venne conteso fra Viterbo e Orvieto in una alternanza di accordi, scaramucce e, forse, anche di piccole battaglie. Era evidente che la Camera Apostolica non poteva sopportare un simile stato di cose. Nel 1262 Urbano IV disponeva che Valentano ritornasse sotto la giurisdizione della Chiesa di Roma e successivamente, come abbiamo visto, assegnato ai Farnese verso la metà del ‘300.
Ebbe inizio allora per Valentano un momento diverso. La municipalità, forse troppo spesso incapace di autogovernarsi, aveva ora un signore. La rocca venne ampliata, abitata assiduamente e conseguentemente, in questo quadro storico, è ben compatibile la presenza di una certa tipologia di maiolica: quella appunto recuperata (sono modestissimi e riferibili esclusivamente a grandi olle acquarie, i frammenti acromi presenti nello scarico).
La fortuna del paese crebbe con quella della famiglia Farnese culminata, nel 1534, con l’elezione a pontefice di Alessandro, sotto il nome di Paolo III. La “fortunazza paolina” tanto mal digerita dalle famiglie rivali, doveva portare poi alla creazione del Ducato di Castro e della Contea di Ronciglione: una grossa fetta di territorio nel cuore di quello ecclesiastico, quasi alle porte di Roma, mal sopportata dalla Camera Apostolica.
Ma tornando ai trascorsi di Valentano viene spontaneo chiedersi se vi fossero in loco fornaci per la produzione di vasellame. Lo statuto manoscritto della comunità risalente alla seconda meta del sec. XVI, vergato in volgare dall’originale latino del secolo precedente, regolamenta nel cap. XVI (Lib. IV- De Cause extraordinarie), al foglio 34, l’attività dei fornaciari in questo modo: “Statuimo che quelli che lavoraranno le Fornaci, debbiano dare il lavoro giusto et ben cotto per li prezzi honesti et non venderlo a Forestiero sotto pena di diece libre per ciasche volta”.
I fornaciari cui fa riferimento lo statuto, da una analisi degli altri documenti d’archivio, sono certamente solo fabbricanti di tegole, mattoni, canali. Nei vari contratti relativi all’affitto della fornace (il primo del quale abbiamo notizia, avvenuto fra la Comunità di Valentano e Maestro Matteo da Latera, risale al 2 dicembre 1524) e nei registri delle riforme si fa solo ed espresso riferimento alla confezione di manufatti per costruzione, quindi dovrebbe escludersi la presenza di un qualsiasi vasaio, boccalaro o maiolicaro che dir si voglia, anche se è ipotizzabile che in queste fornaci potesse essere prodotto vasellame di uso comune, magari limitato al semplice biscotto.
I fornaciari, a Valentano, prestavano la propria opera sotto il controllo della civica amministrazione e la loro produzione era riservata esclusivamente ai residenti e, solo dopo una serie di adempimenti e bandi, si poteva vendere ai forestieri.
Era, la loro, una attività importante. Basti pensare che i paesi si stavano urbanizzando in modo constante proprio negli anni seguenti la costituzione del Ducato di Castro e ogni attenzione era posta dal Consiglio (vi sono in proposito numerosissime delibere fra le riforme di Valentano) perché sollecitamente venissero eseguiti, per le fornaci, tutti quei lavori di necessaria manutenzione e riparazione onde fosse garantita una produzione continua e sollecita.
(Luzi, Antiche maioliche di scavo dalla Rocca Farnese in Valentano, cit, p. 7-9)